Marco

Marco era un pezzo di me. Marco mi ha introdotto a Linux, prima che fosse davvero cool, quando Ubuntu non esisteva. Ricordo ancora i miei primi sguardi a Red Hat con lui. Se non fosse per lui, probabilmente starei ancora usando Windows 98 o qualcosa del genere.

Con Marco ho condiviso una casa e dei momenti unici quando vivevamo entrambi a Milano. Con Marco, ho giocato a fare l’adolescente, il maturo, il nerd, il birraio. Ho condiviso passioni e alcuni dei momenti più belli della mia vita. Abbiamo perfino comprato due magliette identiche con il famoso Blue Screen of Death!

Di Marco mi rimarranno sempre i suoi CD con scritto “Mack”, il sentirsi su Soulseek, le giornate passate su IRC, il Solero Smoover, la Pazzeria, Via Koch e il ricordo di tanti istanti indimenticabili. Con Marco ho condiviso anche alcuni momenti davvero stupidi, come in ogni buona amicizia che si rispetti. Stupidi come quando l’ho riportato dai genitori piuttosto ubriaco o come quando ha riportato a me a casa piuttosto ubriaco. Ci volevamo bene e ci aiutavamo.

La scorsa notte Marco se n’è andato e con lui se ne va un pezzo di me. Non avrei mai pensato quale sarebbe stata l’ultima cosa che ci saremmo detti. Io gli ho mandato una foto di una tazzina con scritto Danesi, trovata a Berlino. Scherzavamo spesso sul “Danesi”, che usava(mo) come sinonimo di caffè. Lui ieri mi ha risposto con il suo solito “Buahahahahaha”. Apparentemente felice, positivo.

Tre ore dopo, sarebbe morto, ma io lo ricorderò per sempre così: felice, che ride.

Quasi paradossale quel che ci dicemmo qualche giorno fa, parlando di linguaggi di programmazione, di Go e di Rust. Marco mi disse “Avrei bisogno di tempo infinito, Rafè.”.

Ora ce l’hai Marco. Non ti dimenticherò mai.